Delle volte mi sento un po’ come se fossi sorda… come se non riuscissi a sentire le parole dell’altro. Vedo la bocca muoversi, ma non sento le parole, non capisco, non arrivo ad afferrarne il senso. Mi pare di riconoscerne movimenti, sì, forse una “o”, quella con le labbra schiacciate l’una sull’altra forse è una “m”, o forse no…
E poi cerco, provo, mi sforzo di dire, di dare. E come se oltre alla sordità ci fosse anche il mutismo. Come se volessi dire “acqua” e dalla mia bocca uscisse “vento”, come se tentassi di dire “bello” e venisse fuori “chiave inglese”. Gli occhi davanti, che mi osservano e che si aspettavano quel “bello”, si trovano confrontati a una miserevole “chiave inglese” che delude le aspettative di una conversazione malata, perché irrimediabilmente univoca. E trovarsi confrontati a quello smarrimento è terribile, quel lampo di delusione, quel silenzio che sembra gridare. E la voglia di giustificarsi, di spiegare, di dire che no, che io in realtà volevo dire ‘bello’, e non so perché dalla bocca era venuta fuori quell’assurda ‘chiave inglese’, che poi che c’entra?, che io ho anche studiato le lingue, proprio perché volevo essere capita, proprio perché non volevo più vedere quell’odioso interrogativo negli occhi di chi mi guarda, perché ‘bello’ se vuoi te lo dico in inglese, in francese, in spagnolo, in portoghese, in russo, in cinese, ma dalla bocca viene fuori sempre quella stramaledettissima ‘chiave inglese’. E lo capisco dall’interrogativo di quegli occhi, che non mi capiscono, non mi comprendono… non riesco proprio a parlare quella tua stessa maledetta lingua. Almeno non oggi.
Fiore!!!
6 marzo 2012 at 13:18
Io, alle volte, mi sento scemo; poi ho la conferma che è così
10 marzo 2012 at 19:32
Ecco, vedo che sono in buona compagnia allora! Mi solleva, delle volte mi sento un marziano… 🙂
7 marzo 2012 at 09:47
Sapere di avere a che fare con qualcuno certo di prevedere o di avere delle aspettative sulle frasi in arrivo mi mette i brividi. Ed è davvero una maniera malata di confrontarsi, poiché in realtà sottintende allo scambio di battute da copione e non a un reale contatto col prossimo… e purtroppo sembra essere un tipo d’infezione sempre più diffuso. 😕
10 marzo 2012 at 19:35
Ma sai, alle volte prende anche me, questa brutta infezione. Non so, ma la comunicazione alle volte è così difficile, pesante, univoca, da sembrare impossibile.
10 marzo 2012 at 22:33
Capita, a volte certo è meglio lasciar perdere ma se si riesce a sforzarsi di abbandonare l’idea di una conversazione omologata, nel bene o nel male, se ne possono trarre soltanto benefici. Anche a costo di spenderci sudore e fatica…
7 marzo 2012 at 20:53
Comunicare é una delle cose più difficili al mondo; da sempre. Ognuno di noi spesso crede che il nostro modo di comunicare sia sempre efficace e ci restituisca le risposte che ci aspettiamo. Non é così facile. Nessuno può essere certo di sapere le risposte o le domande. Vi parlo per esperienza personale, quella di una persona che lavora tutti i giorni con la comunicazione.
Allora chiediamoci: “Se dall’altra parte (nel lavoro, in amicizia, in amore, in famiglia, ecc…) non abbiamo le reazioni che ci aspettavamo dopo il nostro “vociare”, non sarà perché, probabilmente, abbiamo comunicato nel modo sbagliato?”. Quando si arriva ad incontrare sempre gli stessi “paletti” vuol dire che é arrivata l’ora di CAMBIARE modo e che forse, in fondo, quello che purtroppo spesso facciamo é sentire e non ASCOLTARE.
Per via del “Comunicare” si disgregano famiglie, amicizie, si interrompono anche rapporti di lavoro, si fanno le guerre…
Proviamo a non dare sempre tutto per scontato e a pensare che le reazIoni che otteniamo non siano sempre frutto di menti (le altre) distorte.
Comunque é capitato e capita spesso anche a me, nonostante abbia studiato o tenuto corsi di formazione sull’argomento 🙂
10 marzo 2012 at 19:37
Ho una domanda: come si fa a stabilire quale dei due attori della conversazione non ascolta, ma sente e basta?
11 marzo 2012 at 22:16
Comunicare é CONDIVIDERE e sarebbe bello che non ci fossero attori protagonisti e/o comparse.
La sostanziale differenza tra chi ascolta e chi sente é l’empatia che dobbiamo saper creare, ovvero condividere gli stati d’animo.
Se dall’altra parte ci rendiamo conto che gli altri ci “sentono” semplicemente (un po’ come sentire il rumore di una moto che passa e se ne va) e NON ci ascoltano, dobbiamo sforzarci di cambiare metodo, al fine di creare un “rapporto emozionale”.
Per rispondere alla tua domanda… quando non riusciamo in questa condivisione é palese che l’altra persona ci sta solo sentendo. Se vogliamo essere ascoltati proviamo a capire come comunica l’altro al fine di facilitarci il lavoro 🙂
Non so se ti sono stato utile… in realtà non volevo essere così palloso ma é uscito così. Sarà deformazione professionale 🙂
Un abbraccio.