Oggi voglio scrivere un post veloce, ma molto importante. Al Festival di Cannes, quest’anno, Elio Germano ha vinto il premio, insieme a Xavier Bardem, come miglior attore protagonista con il film di Luchetti “La nostra vita”.
Al momento della premiazione, ha voluto dedicare il premio agli italiani e io, da italiana, vorrei dedicargli questo mio post. Con quelle parole, per me, si è dimostrato un vero eroe.
Ecco il video per chi avesse perso la censura del TG1 e/o lo sbrigativo riassunto fattone da Attilio Romita.
Ultimamente non posso trattenermi dall’andare al cinema per vedere e scoprire il buon cinema italiano. Snobbando il remake di romantiche storie già viste mille volte, preferisco ritrovarmi con quell’italianità che è altra da quell’immagine da cliché che politica e società hanno diffuso di noi all’estero.
Basilicata Coast to Coast
E mi ritrovo seduta in una scomoda poltroncina di un cinemino detto d’essai pronta a vedere questo nuovo prodotto del cinema italiano contemporaneo: Basilicata coast to coast di Rocco Papaleo, con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Gassman, Paolo Briguglia, Max Gazzé, Rocco Papaleo, Claudia Potenza e Michela Andreozzi.
Il titolo già palesa le intenzioni del regista, sintetizzando quel provincialismo italiano che tende al grande mito come realizzazione di ogni sogno, di ogni vita.
Nicola (Rocco Papaleo) è un insegnante di storia, ma la sua vera passione è cantare con un gruppo di amici alle feste cittadine. Una mattina, durante una lezione, un foglietto volante gli suggerisce un’idea geniale per realizzare il suo sogno: attraversare la Basilicata, dal Tirreno allo Ionio, coast to coast appunto, per giungere a Scanzano dove si tiene il festival al quale devono partecipare. Decide quindi di coinvolgere gli amici in questa avventura che potrebbe dare alle loro vite travolte dalla banalità quotidiana, uno slancio verso l’emozione, ormai lontana per tutti. Nicola, infatti, ha rununciato al un posto di Preside del suo liceo per le troppe responsabilità, scegliendo di “limitarsi” ad insegnare. La moglie, donna in carriera, gestisce la loro vita come un’azienda. Rocco (Alessandro Gassman) è ossessionato dalla celebrità, avendo per un certo periodo della sua vita partecipato ad un programma televisivo di cui nessuno si ricorda più. Suo cugino Salvatore, che lo considera come un mito inarrivabile, è uno studente di medicina che ha abbandonato gli studi – e l’amore – senza sapere nemmeno il perché. Franco (Max Gazzè) è un appassionato di pesca libera e ha scelto di non parlare più dopo aver perso il suo grande amore.
Iniziano così questo lungo viaggio, seguiti da una giornalista della televisione parrocchiale (Giovanna Mezzogiorno) che da introversa e asociale si aprirà pienamente a questo gruppo di disgraziati.
Sogno all’italiana, questo raccontato da Papaleo, che racconta un’Italia che tende al meraviglioso, attraverso la realizzazione di un sogno neanche troppo eccezionale ma di sicuro autentico e vissuto con semplicità e trasporto.
Bellissimi gli schizzi dei personaggi del film: dalla quasi autistica Giovanna Mezzogiorno, splendida e intensa come in ogni sua interpretazione, credibile sino alla fine nei panni della disadattata Tropea; Max Gazzè nei panni del silente Franco, personaggio che perderà tutto il suo fascino non appena riprenderà a parlare. Ma anche Alessandro Gassman e Rocco Papaleo, straordinari nel interpretare questi uomini piccolo borghesi che ci ricordano con sapienza popolare che la vita è fatta anche di sogni e che c’è un momento per inseguirli e un momento per lasciarli andare.
Bizarra ed eclettica la colonna sonora firmata da Max Gazzè, che ci regala il gioiello Mentre dormi.
Sono andata al cinema a vedere Happy Family di Gabriele Salvatores con due amiche. Il trailer faceva sperare un film spassosissimo, eppure…
Happy Family di Gabriele Salvatores
Ezio – Fabio de Luigi – trentenne milanese ricco e annoiato con pretese da scrittore in erba, ha deciso di scrivere una nuova storia. Seduto davanti a uno schermo inizia a tratteggiare i profili dei suoi personaggi. Si tratta dei componenti di due famiglie milanesi, la prima emblema della Milano bene l’altra della Milano nazional-popolare. I loro figli appena sedicenni, Filippo e Marta, hanno deciso di sposarsi e di darne l’annuncio ufficiale ad una cena di famiglia.
Si intrufola in questa serata familiare l’alter ego di Ezio, invitato dalla madre di Filippo – Margherita Buy – che lo aveva mandato in ospedale dopo un incidente. La cena è il momento centrale del film perché non solo dà modo alle due famiglie di incontrarsi, ma anche perché fa nascere l’amore tra Ezio e la sorella di Filippo, Caterina; da l’occasione a Marta di lasciare Filippo perché innamorata di un altro; a quest’ultimo di scoprire un’importante verità; al padre di Filippo – Fabrizio Bentivoglio – malato di cancro, di instaurare con il padre di Marta – Diego Abatantuono – una bella amicizia che li porterà insieme a fare un viaggio in barca sino a Panama.
La storia si interrompe prematuramente quando lo scrittore, fuggendo le sue responsabilità, opta per un finale aperto. È allora che i suoi personaggi si ribellano, constringendo lo scrittore, dopo aver occupato il suo appartamento, a riprendere il suo lavoro portandolo questa volta a compimento.
Happy Family di Gabriele Salvatores
Il film di Salvatores è divertente, le risate si scatenano a più riprese nella sala. Eppure non danno grande soddisfazione. La commedia, che evoca e cita altri grandi film come 8 e 1/2, i Tenembaum, I soliti sospetti, oppure il pirandelliano Sei personaggi in cerca d’autore, delude per trama e personaggi. I suoi protagonisti sono personificazioni vaghe e sbiadite, e la storia risulta banalizzata e stereotipata. La comicità del film è scatenata da gag facili e povere di vera ironia, affidata all’accoppiamento dei due cani o alla nonna che a causa dell’Alzheimer se ne va in giro chiedendo “Ma tu chi sei?”. E la risata che scatta in maniera quasi meccanica prende un gusto un po’ amaro perché dentro non lascia nulla.
Tra gli attori, Margherita Buy e Diego Abatantuono interpretano un po’ se stessi, ricalcando i ruoli del passato e perdendo così la loro identità. Fabrizio Bentivoglio, bellissimo e di gran classe, dà un colore malinconico al film, eppure non abbastanza intenso.
Restano tuttavia alcune scene da ricordare come la cena di famiglia che vede l’assenza di un capotavola ma il confronto alla pari tra le due famiglie; oppure la panoramica dell’appartamento dello scrittore che mostra gli elementi che lo hanno ispirato nella stesura della sua storia. I colori sono vividi e si ha l’impressione che le scene siano talvolta costruite su base cromatica: la scena dell’incidente è caratterizzata dalla predominanza del giallo; la sala da pranzo che ospita la cena come anche la camera da letto di Margherita Buy e Fabrizio Bentivoglio è interamente colorata con varie tonalità di rosso, etc. La colonna sonora, che ha come protagonisti Simon & Garfunkel con un disco bellissimo e straordinariamente evocativo che tuttavia non accompagna il film ma sembra seguirlo solo da lontano.
Una commedia che poteva essere travolgente e che invece si rivela facile e sottotono, lasciando gli spettatori un po’ delusi e con l’amaro in bocca allo scadere del novantesimo minuto.
Approfittando della compagnia di un’amica speciale, in trasferta per un paio di giorni in un capoluogo del sud Italia, vado al cinema a vedere Mine Vaganti, di Ferzan Ozpetek. Tra il trasloco e il resto non ho nemmeno visto i trailer in tv ma con Ozpetek abbiamo una lunga storia d’amore iniziata alla fine degli anni ’90. Vado sicura del risultato e uscita dal cinema d’essai che lo propone sento che la promessa è stata mantenuta.
Con Mine vaganti, Ozpeteck, esce fuori dal particolare per tornare al generale. E se con la maggior parte dei suoi film aveva voluto dipingere uno spaccato della società italiana ben preciso, stavolta il regista ci racconta una storia comune, di una famiglia qualsiasi, alle prese con il più complicato rompicapo di tutti i tempi: le trame dei rapporti umani.
Tutto inizia con il ritorno a casa di Tommaso, il figlio minore (Scamarcio), rientrato da Roma con l’intento di comunicare alla famiglia la sua omossessualità con la speranza di ottenere quella libertà che le bugie gli avevano impedito di avere. Una cena di famiglia sarà l’occasione per annunciare la verità ma il fratello maggiore Antonio (Preziosi), al quale ha già raccontato tutto, lo anticipa, facendo davanti a tutti il suo coming out. Tra il disagio generale, il furore di Tommaso e la rabbia del padre che sarà vittima di un lieve infarto, Antonio viene mandato via di casa, e su Tommaso riposeranno tutte le speranze sul futuro della dinastia familiare.
A Tommaso toccherà prendere in mano il pastificio di famiglia, sostituendosi per la prima volta al fratello, lavorando fianco a fianco con la socia Alba (Grimaudo) tanto bella quanto bizarra con la quale si creerà un’ambigua complicità. A complicare utleriormente la situazione, ci sarà l’arrivo del compagno e degli amici romani di Tommaso. La combricola di ragazzotti metterà un po’ di movimento nella placida vita familiare.
Con questo film Ozpetek riesce a dipingere, con grande ironia, i meccanismi complessi e talvolta contorti dei rapporti familiari, fatti di immancabili scontri-incontri. Uno strepitoso risultato, con una storia dalle dinamiche sorprendenti ed esilaranti che non lasciano tregua agli spettatori scossi da un’interminabile risata. Tra gli attori un credibilissimo Riccardo Scamarcio, una borghese e tenera Lunetta Savino, una commovente Nicole Grimaudo e una strepitosa Elena Sofia Ricci nei panni della zia zietella.
Una fotografia perfetta in ogni dettaglio, con la luce calda del Salento, un’ambientazione suggestiva e inquadrature indimenticabili. La colonna sonora composta da Pasquale Catalano, comprende due grandi successi di Patty Pravo e la bellissima 50mila di Nina Zilli.
Mine vaganti è poesia allo stato puro, come solo i grandi artisti sanno fare.
Da vedere. E rivedere.
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E qui il video di 50mila nel duetto di Nina Zilli con Giuliamo Palma
Ieri sera ho ceduto alla tentazione dei grandi classici e mi sono persa in uno dei capolavori di Bernardo Bertolucci, Ultimo tango a Parigi.
Ultimo tango a Parigi, film di Bernardo Bertolucci (1972)
Schiacciato dal peso del passato, un uomo di mezza età (Marlon Brando) trova, grazie all’incontro con una ragazza poco più che ventenne, il modo di dimenticare i suoi dolori affogando i dispiaceri nel sesso. I loro incontri, incastrati nei ricordi del passato, restano tuttavia un mondo chiuso, asettico, slegato dalla realtà alla quale l’uomo sembra voler sfuggire. Parallelamente scorre la narrazione della vita della ragazza.
Gli incontri, fotografati magistralmente da un regista abilissimo, proseguono sino a quando l’uomo non decide di far accedere la ragazza alla sua vita reale, raccontandole il suo passato e svelandole le sue speranze per l’avvenire.
Come sempre, il ritorno alla realtà infrangerà il mistero sciogliendo l’incanto.
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Una storia raccontata con poesia e intensità, in modo elegante, dove le scene più belle sono quelle che ci regalano una visione della coppia creata da giochi di luce e riflessi, riunendo, nell’illusione, ciò che nella realtà è disunito, e disunito resterà.
Si va al cinema con un’amica, difficile mettersi d’accordo ultimamente. Alla fine il compromesso ci porta a scegliere The Boat That Rocked, uscito in Italia con il titolo I Love Radio Rock e in Francia con il titolo fin troppo evocativo di Goodmorning England. Le critiche sono buone, quindi presa coca-cola e pop-corn ci addentriamo nella sala.
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The Boat That Rocked – I Love Radio Rock – Goodmorning England
Nell’Inghilterra degli anni ’60, un gruppo di deejay affascina sciami di ascoltatori mandando in onda, con grande scontento delle autorità, il meglio della musica di quell’epoca.
Ed è proprio in una delle barche pirata, quella che ospita Radio Rock, che il giovane Carl viene spedito dalla madre dopo essersi fatto bocciare al liceo. Ancorati nel Mare del Nord, la vita scorre poco tranquilla a ritmo di rock. Carl incontra la ragazza dei suoi sogni, trova le tracce del padre che non ha mai conosciuto, condivide momenti di pura follia con gli altri membri dell’equipaggio, il tutto dipinto con brio ed intelligenza dal regista Richard Curtis.
Mal tollerato dal governo, l’equipaggio di Radio Rock rischia diventa il vero e proprio bersaglio di una manovra politica che ha lo scopo di sopprimere definitivamente le radio pirata e il rock sulle onde medie.
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Un film per i nostalgici di quegli anni e per chi, quell’epoca, l’ha vissuta attravero i racconti dei genitori. Una colonna sonora che racchiude il meglio del rock degli anni ’60 e che obbliga a fischiettare motivi indimenticabili per più di una generazione. Straordinaria, e non ci si poteva aspettare altro, l’interpretazione di Philip Seimour Hoffman che offre, in questi panni rockeggianti, una delle sue più accattivanti interpretazioni grazie anche ad un personaggio che sembra calzargli a pennello. Accattivante l’acidulo personaggi interpretato da Nick Frost. Affascinante Rhys Ifans.
Ai cantori delle false verità ricordo che la loro voce non basta a rendere reale l’immaginario, perché, come tanti italiani, io sono un cervello pensante.
La realtà non è aleatoria.
Kokeicha
Kokeicha è prima di tutto italiana. Amante del tè, da cui deriva il nome del suo avatar, vive un po' di qua e un po' di là. Ama viaggiare, ama scrivere (da cui l'esigenza di un blog), fotografare, sperimentare nuove ricette. Ama la gente, e si diverte a leggere negli occhi delle persone le storie che si portano dentro.
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