vita


Girl Staring (Detail) © Piddling.deviantart.com

Girl Staring (Detail) © Piddling.deviantart.com

È iniziata! La mia stagione di jogging. È iniziata oggi, ufficialmente, con quaranta minuti di corsa lungo quel mare al quale appartengo da sempre, da che esisto. Mentre girava la mia musica nelle orecchie e osservavo il mondo scorrere veloce. Quante vite si scoprono semplicemente osservando. Come quel ragazzo, dall’aria malinconica, appoggiato al muretto che divide la bella spiaggia dal nastro d’asfalto; guardava fisso lo schermo di un cellulare. Gli sono passata accanto, giusto pochi secondi, ha sollevato appena lo sguardo, ma è tornato in fretta a quello schermo che, dal suo sguardo, doveva essere muto. O quel gruppo di ragazzi sulla riva del mare che stavano a guardare e ridacchiare dei loro compagni che in acqua facevano probabilmente il primo bagno della stagione. Si stavano divertendo, e sembrava che per loro la vita non fosse ancora diventata troppo dura.

Mi piace osservare gli altri, distogliere l’attenzione da me stessa e stare a guardare le vite degli altri…

A Thousand Words (Detail) © KChan1787Delle volte mi sento un po’ come se fossi sorda… come se non riuscissi a sentire le parole dell’altro. Vedo la bocca muoversi, ma non sento le parole, non capisco, non arrivo ad afferrarne il senso. Mi pare di riconoscerne movimenti, sì, forse una “o”, quella con le labbra schiacciate l’una sull’altra forse è una “m”, o forse no…

E poi cerco, provo, mi sforzo di dire, di dare. E come se oltre alla sordità ci fosse anche il mutismo. Come se volessi dire “acqua” e dalla mia bocca uscisse “vento”, come se tentassi di dire “bello” e venisse fuori “chiave inglese”. Gli occhi davanti, che mi osservano e che si aspettavano quel “bello”, si trovano confrontati a una miserevole “chiave inglese” che delude le aspettative di una conversazione malata, perché irrimediabilmente univoca. E trovarsi confrontati a quello smarrimento è terribile, quel lampo di delusione, quel silenzio che sembra gridare. E la voglia di giustificarsi, di spiegare, di dire che no, che io in realtà volevo dire ‘bello’, e non so perché dalla bocca era venuta fuori quell’assurda ‘chiave inglese’, che poi che c’entra?, che io ho anche studiato le lingue, proprio perché volevo essere capita, proprio perché non volevo più vedere quell’odioso interrogativo negli occhi di chi mi guarda, perché ‘bello’ se vuoi te lo dico in inglese, in francese, in spagnolo, in portoghese, in russo, in cinese, ma dalla bocca viene fuori sempre quella stramaledettissima ‘chiave inglese’. E lo capisco dall’interrogativo di quegli occhi, che non mi capiscono, non mi comprendono… non riesco proprio a parlare quella tua stessa maledetta lingua. Almeno non oggi.

Fiore!!!

 

 

Ho deciso: non ho voglia di lavorare! È sabato anche per me. Sono stata a crogiolarmi al sole, ho ascoltato la musica, quella che piace a me, quella che mi fa venire i brividi, e che ricorda tante cose, e subito mi viene voglia di prendere le scarpe da corsa per andare a fare i miei dieci chilometri di jogging a perdifiato lungo quel mare a cui appartengo.

In circolazione, oggi, non c’è nessuno. Non posso restare a casa. Oggi non si può. Ci sono giorni che non riesci. E allora anche questo è deciso: mi faccio una doccia, mi vesto, mi trucco, vogio sembrare diversa, almeno fuori. Metto i tacchi, stasera. Il rossetto, quello rosso marilyn. Due gocce di Chanel.

E mi lascio dietro una delle canzoni di questo pomeriggio.

 

don't give up on a dream © marii85

don't give up on a dream © marii85

… vorrei un po’ di serenità, vorrei tutto l’amore che posso, vorrei un pizzico di gioia, un granello di follia, e tanta ma tanta speranza per il futuro. Vorrei tutto quello che questa vita può offrirmi, tutte le cose che posso pretendere di avere, perché di vita non ne potrò vivere un’altra. E allora vorrei ogni cosa, perché alla fine, e non so quando la fine verrà, non vorrei davvero avere dei rimpianti. Non vorrei dirmi avrei dovuto essere più presente, o avrei dovuto amare di più, o avrei dovuto cogliere quell’occasione, o avrei dovuto smettere di inseguire le stelle cadenti, o avrei dovuto godere delle piccole cose che già avevo. Vorrei avere la botte piena e la moglie ubriaca, perché non vorrei rinunciare né all’una, né all’altra, entrambe preziose. Vorrei realizzare un sogno, ma per essere felice forse dovrei smettere di sognare. Vorrei che ogni tanto, ma solo ogni tanto, la vita fosse un po’ semplice, anche per me. Vorrei che quel vecchio conto con la vita fosse già saldato, vorrei smetterla di sentirmi creditrice, eppure sento che ho ancora qualcosa da pretendere.

carnaval @ kokeicha 2010

carnaval @ kokeicha 2010

La settimana scorsa ho smarrito per strada chissà dove il mio portachiavi. Certo non si tratta di un anello di diamente, ma era QUEL portachiavi acquistato inconsciamente due volte in un mercatino di Natale e che condividevo come portafortuna con mia sorella.

Lo scorso fine settimana ho smarrito la spilla che faceva da chiusura a uno dei miei maglioni preferiti; l’avevo acquistata a Parigi, cercandola in lungo e in largo per tanti negozi. Non si trattava certo di una spilla di grande valore, ma era sobria e perfetta per quel maglione, e per me.

Stamattina mi sono resa conto di non aver più nella mia libreria un libro al quale tenevo molto, soprattutto per questioni lavorative, che avevo quasi gelosamente messo da parte per tirarlo fuori nel momento in cui sarebbe servito. Ecco, il momento è arrivato ma il libro non si trova. Non c’è! Ho fatto mille volte il percorso dei dorsini della mia libreria, percorrendoli avanti e indietro, alla ricerca del titolo magico, eppure nulla. Non c’è.

Detesto prestare le mie cose, sono molto gelosa dei miei oggetti perché ognuno di essi rappresenta una storia, e non sono capace, lo ammetto, di rinunciarvi. Figurarsi quando si tratta di perdere un portafortuna, una spilla quasi decennale, un libro. Vado in crisi, e non c’è da andarne fiera, al pensiero che nulla in futuro potrà mai rimpiazzare ciò che è andato perduto… e solo mentre formulo questo pensiero, digitando sulla tastiera del mio ormai vecchio MacBook mi rendo conto che questo discorso ha radici lontane, radici che affondano nella mia infanzia, quando presto imparai che non c’è rimpiazzo possibile per ciò che si è perduto, perché certe cose non tornano. Punto e basta. Ma ne arrivano di nuove. Sorrido. E penso che sono cresciuta, malgrado il nodo allo stomaco…

Davanti alla tv mi capita di finire sulla replica di una invasiva e barbarica trasmissione condotta da una giornalista che con gli anni si fa sempre meno dura e sempre più glamour. Scopro che l’ospite in collegamento è una delle voci femminili italiane più sublimi dopo quella di Mina. Sorrido. Strana coincidenza! Sorrido. Perché da qualche mese a questa parte le persone che incontro – a partire dagli amici fino a perfetti sconosciuti incontrati per caso su un treno o nel salone del parrucchiere – interrompono i nostri scambi di opinioni per dirmi: “Ma lo sai chi mi ricordi? Ecco, sì, a chi somigli? Sicuramente te l’avranno già detto, ma somigli a X”.

Pare, così dicono, e ormai non posso neanche far finta che siano pochi, che io somigli a questa brava e bella cantante italiana. E ritrovarmela davanti in tv mi incuriosisce, quasi volessi scoprire cosa dice di me questo mio celebre doppio. Al di là degli scambi di battute, di considerazioni più o meno interessanti, simpatiche e leggere come si addice alla tv, ecco viene fuori che al di là di tutti questi fronzoli, questa brava e bella cantante raccontando di sé parli di me più di quanto non mi sarei aspettata. E l’analisi critica che ne fa l’intellettuale di servizio mi lascia basita. Sorrido. Si parla di perfezione, di ansia, di nudità, di qualcosa che va dritto al sodo.

Sorrido. Pare che l’intellettuale di servizio stesse parlando della bella e brava cantante. Pare.

summer 2010 © kokeicha

summer 2010 © kokeicha

È che alle volte uno si dimentica…

Vuoi per colpa del freddo polare che sta “romanticamente” imbiancando l’Italia in lungo e in largo, vuoi per quel pullman che doveva portarmi via e che non è partito a causa della neve, vuoi per la mia spilla parigina persa per strada chissà dove, vuoi perché sono un leone nato in pieno agosto e detesto il freddo inverno, vuoi per gli affetti sempre lontani, per il lavoro che in tempo di crisi zoppica in modo sempre più vistoso…

Insomma, alle volte uno si dimentica. Si dimentica che l’inverno lascia in fretta il posto a una tiepida e colorata primavera, che il sorriso degli amici è sempre lì pronto ad abbracciarci, che ci aspettano mani grandi e dolci, che col freddo il profumo dei biscotti che cuociono nel forno sembra conciliarci col mondo intero. Insomma, capita alle volte che uno si dimentichi…

Difficile in genere farmi restare troppo a ungo in silenzio, ma ci sono momenti in cui c’è bisogno di attraversare un letargo prima di risvegliarsi ancora. Si perdono le parole, svaniscono risucchiate dai libri che si leggono, e non ne rimangono di proprie. Svaniscono i penieri, restano quelli strettamente indispensabili alla sopravvivenza. Non si ha più nulla da dire, a nessuno, neanche a se stessi. Passa anche la voglia di comunicare per immagini, la voglia di scattare un’altra istantanea. Si vive, ma non si ha la forza di fare di più.

Ma questo pomeriggio ho avuto voglia di preparare una torta, un plum cake con pepite di cioccolato. E proprio in questi giorni di gelo, freddo e neve, qualcosa dentro forse comincia a sciogliersi. E intanto me ne sto davanti al caminetto, a leggere Le affinità elettive di Goethe.

Tempo di coccole © kokeicha 2012

 

 

È venerdì, giubilo immenso. Finalmente due giorni per riposare, e fare tutto ciò che si vuole, compreso oziare. E così, uscita dall’ufficio, passo nella biblioteca accanto a casa a prendere un libro, poi un’ora di rassodamento in vista dell’estate, poi dal signore qua sotto che ha un negozietto di generi alimentari.

E mi viene da sorridere, ripensando a questo negoziante di altri tempi, in piedi ancora oggi malgrado i tanti supermercati. Ha un po’ di tutto, diciamo tutto l’essenziale per i momenti di emergenza. E la mia emergenza, questo pomeriggio si chiamava pane. Ha prezzi carissimi, e quando entri ti guarda sornione, sempre però afflitto dal fatto che tu abbia comprato così poco, che tu prenda una pagnotta oppure formaggi, frutta, verdura, uova, acqua, etc. Sempre un po’ affranto, intristito, una nota di disappunto nei suoi occhi. Eppure nonostante tutto mi è simpatico. Se ne sta lì, a gestire quei pochi clienti giornalieri, tutti presi dalle urgenze della giornata, pronti a farsi spennare. Ieri con quello che ho speso da lui per comprare due bottiglie di acqua, al supermercato ne avrei prese 10 e mezza.

Il pane, stasera, me lo sono mangiata con gusto. Quasi assaporando quella morbidezza sopraffina, quellaparte croccante, quel profumo ancora intatto. Quello che è rimasto poi l’ho conservato in freezer, per non dover poi tornare domani a farmi spennare di nuovo. Aspetto almeno fino alla prossima settimana prima di tornarci.

Pioveva. A dispetto di questo mese di giugno e del caldo la pioggia scendeva pacata. Pioveva, mentre tornando a casa ripensavo alla giornata quasi finita. C’era un’atmosfera da film francese degli anni ’60: la città era avvolta in un bel blu cobalto, le luci dei lampioni quasi arancioni, il ticchettio del pianto delle nuvole.

«Pensate di andare a vivere insieme?»

La pioggia, ieri, ha accompagnato il mio solitario rientro a casa. Abbiamo chiacchierato del più e del meno, le raccontavo di quell’arrivederci costato tanta tristezza, di quell’amica venuta in città portando per me una canzone da pelle d’oca…

«Tengo razones, razones de sobra para pedirle al viento que vuelvas

aunque sea como una sombra

tengo razones, para no quererte olvidar

porque el trocito de felicidad fuiste tu quien me lo dio a probar.»

Chiacchieravo con la pioggia, mentre le poche persone rimaste ancora per strada sgattaiolavano dentro i portoni del centro storico per trovare un riparo familiare.

«Guarda come piove. Torna dentro…»

Pioveva. Mentre rientravo a casa con un unico pensiero per la testa, più che un pensiero il bisogno di trovare una soluzione. Perché vorrei, ma non posso. Chiedere non si può. Bisogna riflettere, riflettere bene. Perché un errore in certi casi lo si paga per tutta la vita. Sbagliare, anche solo il momento, stavolta non si può. Non si deve. E allora rifletto. Rifletto più forte. Rifletto ancora più intensamente.

«Prima, signora mia, ci si comprava il terreno,

poi si sistemava tutto, si costruiva la casa,

e in un paio d’anni era pronto.

Erano altri tempi, signora mia.

Questi giovani…»

Pioveva, ieri. Mentre rientravo a casa accompagnata da un arrovellante dubbio esistenziale.

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